Vittorio Messina a Sculture in Campo-Parco Internazionale di scultura / 21 settembre 2019
Sabato 21 settembre 2019a Bassano in Teverina (VT), presso Casetta Lola e il Querceto, si inaugura la terza edizione di Sculture in campo-Parco Internazionale di Scultura. Sculture in camponasce dal desiderio di portare la scultura contemporanea fuori dai tradizionali contenitori dell’arte (musei, biennali, gallerie e quant’altro) per inserirla in un contesto governato più dalle leggi naturali che non da quelle sociali.
Il progetto, fortemente voluto dall’artista Lucilla Cataniain condivisione con i critici d’arte Alberto Dambruosoe Roberto Gramiccia, presenta in questa occasione quattro nuove opere, tra cui “Palagio il cui tetto di cristallo” di Vittorio Messina. «Quest’opera di Vittorio Messina – scrive Alberto Dambruoso in catalogo – sembrerebbe una costruzione non ancora ultimata. Ma qui, se ci si appressa, si potrà notare come l’incompletezza sia stata appositamente voluta dall’artista. La ricerca di Messina muove infatti dal principio d’indeterminazione teorizzato da Heisenberg nel 1927, nel quale il fisico dimostrava l’inefficacia della legge di causalità dimostrando l’impossibilità dell’esatta verificabilità delle cose. Da qui quel senso di precarietà e non finitezza che si può riscontrare in tutte le opere di Messina. Nell’opera realizzata appositamente per il Parco di Lucilla Catania, Messina si è ispirato anche a un altro grande scrittore del Novecento, James Joyce e, in particolare, a un passo dell’Ulisse nel quale lo scrittore irlandese descriveva un fulgido “palagio” il cui tetto di cristallo scintillante” (che è anche il titolo dell’installazione scultorea di Messina) “scorgono i marinai che traversano l’esteso mare su vascelli costruiti all’uopo e quivi giungono tutti i greggi e gli animali ingrassati e le primizie di quella contrada […]”. L’artista ha costruito quindi una sorta di labirinto (anche questo probabilmente ispirandosi a uno dei protagonisti dell’Ulisse, Dedalus), uno spazio a cielo aperto con due entrate speculari che disorientano lo spettatore, il quale si aspetta di sbucare in una stanza e invece si ritrova all’uscita, la quale funge però anche da altra entrata. L’opera di fatto è una metafora dell’utopia dell’arte (così come lo era in Joyce) e nella fattispecie l’utopia di Lucilla Catania che sta riempiendo di frutti d’arte il suo giardino personale facendolo diventare patrimonio di tutti».